la gioia dopo la tristezza

Malinconia più spesso detta melanconia o melancolia, o più raramente melencolia.

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La parola deriva dal latino melancholia, che a sua volta trae origine dal greco melancholía, composto di mélas, mélanos (nero), e cholé (bile), quindi bile nera[1], uno dei quattro umori dalle cui combinazioni dipendono, secondo la medicina greca e romana, il carattere e gli stati d’animo delle persone. Gli antichi Greci, da Ippocrate in poi, ritenevano infatti che i caratteri umani e, di conseguenza, i loro comportamenti, fossero frutto della varia combinazione dei quattro umori base, ovvero bile nera, bile gialla, flegma ed infine il sangue (umore rosso). Inoltre, gli antichi popoli indoeuropei abbinavano ai quattro umori i cicli del creato, come l’alternarsi delle stagioni. Questi “umori”, ovvero liquidi (dal greco ygrós, “umido, bagnato”), proprio in conseguenza delle credenze antiche, significano “stati d’animo” e da essi derivano etimologicamente il carattere “melanconico”, quello “flegmatico” (flemmatico), quello “sanguigno” ed infine il “collerico”. Di per sé quindi ciascuno dei quattro umori non costituiva una malattia, ma un loro squilibrio poteva esserne la causa fino a degenerare nella morte. Il carattere melancolico era abbinato al clima freddo e secco, l’autunno, ed il suo elemento era la terra. È necessario notare che la medicina ippocratica è perdurata in Europa fino al XIX secolo, mentre la “moderna” teoria di Carl Gustav Jung sui caratteri e sui temperamenti è dei primi anni del XX secolo. La melanconia non sarebbe dunque la passione dello stallo e dell’impotenza, ma la situazione riflessiva che segue l’azione, l’umor nero che è condizione di possibilità per ogni sorta di agirePossiamo addirittura dire che un temperamento melanconico era necessario per poter compiere azioni degne d’esser ricordate.

D’altra parte, Aristotele in Problemi XXX, 953a (trad. di Marco Mazzeo):«Perché gli uomini che si sono distinti [perittòi] nella filosofia, nella politica, nella poesia, nelle diverse arti sono tutti dei melanconici e alcuni fino al punto da ammalarsi delle malattie dovute alla bile nera?»

La malinconia è una sorta di tristezza di fondo, a volte inconsapevole, che porta un soggetto al vivere passivamente, senza prendere iniziative, adattandosi agli avvenimenti esterni con la convinzione che non lo riguardino o che in essi non possa avervi un ruolo determinante. Si potrebbe definire come il desiderio, in fondo all’anima, di una cosa, di una persona mai conosciuta o di un amore che non si è mai avuto, ma di cui si sente dolorosamente la mancanza o per raggiungere il quale non ci si sente all’altezza. La malinconia si manifesta in espressioni del viso e in atteggiamenti indolenti che caratterizzano spesso l’intera esistenza di un individuo. Il malincolico tende spesso, inoltre, ad escludersi dalla vita sociale, interrompendo i legami affettivi (come l’amicizia), per poi, quando lo stato malincolico è più celato, risanare i labili rapporti. Questo è, dunque, un continuo stato di transitorietà e di tumulto interno che porta il soggetto, tra l’altro, a negare il passare del tempo, volgendosi con languore verso un passato o un futuro idilliaco, fuori dal tempo, che tuttavia è reputato impossibile da stabilire nel presente. In psicoanalisi la malinconia assume il significato di lutto, principalmente quando questo riguarda un oggetto investito narcisisticamente, cioè quando riguarda un investimento pulsionale su un oggetto che può essere ricondotto a caratteristiche o attributi propri della persona. Per cui nella perdita della melanconia è l’Io a sentirsi svuotato e non la realtà esterna, come avviene nel lutto. La parte dell’Io identificata con l’oggetto perduto va incontro a scissione e s’instaura una dinamica interna che genera collera per questa perdita che il Super-Io non accetta e si sfoga attaccando l’Io. Questo determina le autoaccuse tipiche della melanconia.

Victor Hugo diceva che “la malinconia è la gioia di essere tristi“. La verità è che quando ci sentiamo malinconici tendiamo ad associare il nostro stato d’animo alla tristezza, anche se ciò che stiamo ricordando è, effettivamente, un momento felice del passato. La malinconia non sarebbe possibile senza memoria.

È un sentimento che ci ricorda che ci manca qualcosa che un tempo c’è stato, che ci faceva sentire bene, ma che non possiamo più recuperare. Ricordiamo viaggi, momenti, persone o esperienze che ci fanno pensare che il passato sia stato migliore del presente. Quando una persona si sente malinconica, sta soffrendo per qualcosa che non può più avere. Ricordare qualcuno o qualcosa che non è più accanto a noi può far male, ma è un dolore che fa parte di noi in modo profondo e che ci fa capire che quel momento o quella persona ci apparterranno per sempre, che fanno parte di noi, anche se ormai sono riposti soltanto nel cassetto dei ricordi. La malinconia, però, può essere anche un modo per non accettare il presente e per manifestare la nostra scontentezza rispetto a ciò che abbiamo ora. Perché quando viaggiamo con la mente verso altri luoghi e altri tempi, andiamo alla ricerca di una compagnia irreale e rischiamo di credere che sia impossibile vivere senza di essa.Se la nostra vita è piena, non sentiamo il bisogno di afferrarci al passato e di pensare che un tempo stavamo meglio di oggi. Sentirsi più o meno malinconici dipende da quanto ci soddisfa il presente che stiamo vivendo: quando una persona è felice, non ha bisogno di rievocare i tempi passati, né di pensare a ciò che sarebbe potuto essere. Rimanere ancorati al passato rischia di farci perdere le bellezze del presente.

Come cantava anche Luca Carboni, la malinconia “sembra quasi la felicità, sembra quasi l’anima che va, il sogno che si mischia alla realtà. Puoi scambiarla per tristezza, ma è solo l’anima che sa che anche il dolore servirà“: superare il dolore e imparare a vivere quei sogni nel presente, è un passo che dipende solo da noi.